Fino ad oggi, qui, abbiamo recensito solo libri. Da oggi iniziano le eccezioni. La televisione, per esempio, soprattuto quella seriale, è scrittura. Scrittura complessa, raffinata, di alto livello. Non sempre bellissima (succede anche nell’editoria), non sempre degna di nota, ma tant’è.
Nel giro di una settimana mi sono immerso in due mini serie tv made in Italy che vi consiglio caldamente di non perdere: “Vita da Carlo” su Amazon Prime e “Strappare lungo i bordi” su Netflix. Carlo Verdone da una parte, Zerocalcare dall’altra.
Lo so, sulla carta vi suonano come Guelfi e Ghibellini, Toro e Juve, il bene contro il male. A me no, anzi. Tutt’e due mi hanno tenuto incollato alla tv e restituito da una parte un bel pezzo di passato e dall’altro aiutato a leggere meglio un presente che spesso fatico a decodificare, soprattutto in termini generazionali.
“Non stop” è del 1977. l’esordio in tv di Carlo Verdone (una tv non paragonabile a quella di oggi). Avevo 11 anni e i personaggi di Verdone, che lui sfornava come pizze il sabato sera sul lungomare di Napoli, sono stati un’epifania. Come Alberto Sordi o Paolo Villaggio, robe così. Mi ha dato strumenti per leggere un mondo che attorno a me sembrava impazzito. Si sparava nelle strade (Torino era una città militarizzata da un bel po’, ma non ero stupito, l’avevo sempre vista così), le fabbriche ribollivano, la borghesia segnava il passo, il benessere faceva i conti con la crisi. Eppure la vita andava avanti, in qualche modo. “Un sacco bello” (capolavoro) è del 1980. Era l’hanno della fine del piombo e dell’inizio dell’Amaro Ramazzotti, della “Milano da bere“. Si diceva così, ma io stavo a Torino, e c’era solo la Fiat. Al massimo, qui, si beveva il San Simone.
“Vita da Carlo“, è biografico, un filo melanconico e suona vero, non artefatto. Una sorta di testamento, di rendiconto, di resa all’evidenza (Verdone “è” i suoi personaggi, non potrà mai essere un’altra cosa), ma anche di onesto ringraziamento a una carriera che gli ha dato successo e denaro. E al pubblico, che era quello che andava al cinema e guardava la tv. Senza nemmeno uno straccio di social network a fare da spalla.
Di Zerocalcare so pochissimo perchè non amo i fumetti, ma l’ho ascoltano enne volte a Propaganda Live, ho visto le sue strisce animate, “Rebibbia Quarantine“, e me ne sono innamorato. Ha dieci anni più dei miei figli, ma ha la stessa difficoltà a relazionarsi con la società. Non la capisce, la teme, si avvita in analisi al limite del patologico e disegna per trovare una via di fuga. Riuscendoci, tra l’altro, benissimo. C’è del genio vero in quel ragazzo che sembra destinato a non diventare mai adulto.
“Strappare lungo i bordi” è poetico, divertente (c’è spazio anche per Valerio Mastrandrea che è sempre quello di “Tutti giù per terra” e “La linea Verticale“, magnifico), amaro e, anche qui, biografico e vero. Chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo? La risposta è dentro di voi, ma è quella sbagliata (la semicitazione è di Corrado Guzzanti alle prese con “Quelo“, altro must).
Mentre seguivo le contorte e lucidissime autoanalisi di Zerocalcare, sue, ma non solo sue, non potevo fare a meno di pensare ai miei figli, ai loro amici, al loro mondo, che credo di conoscere e del quale, invece, ignoro tutto. O quasi. Mi mancano le categorie per comprenderne dinamiche, fobie, ansie, aspirazioni. Zerocalcare me ne ha offerte alcune. Gratitudine imperitura.
Ultima nota. C’è tanto romanesco in Verdone e Zerocalcare, ovviamente, eppure passa liscio come l’olio. Non è il romanesco urticante dei Tg della Rai, non è l’ode al romanocentrismo che ti fa zappare sul telecomando. È romanesco, è la parlata delle persone normali, quelle che fanno fatica a capire il mondo che le circonda. Quelle persone sono ovunque.