Alessio Cuffaro me ne aveva parlato l’estate scorsa. Era un’idea già in divenire, ma che ancora doveva essere definita in molti suoi aspetti. “Ho il tema”, mi disse. “Voglio scrivere un podcast dedicato agli sconfitti”.
Alessio è uno scrittore, insegna alla Scuola Holden, ha all’attivo due romanzi (belli, molto belli) e qualche anno fa, con altri tre scrittori, ha fondato una casa editrice, Autori Riuniti. Quell’esperienze editoriale è finita, ma non la sua voglia di dare alla scrittura nuove forme per raggiungere quanti più lettori possibile.
La settimana scorsa su tutte le principali piattaforme podcast sono uscite le prime tre puntate de “Gli sconfitti”. L’idea è diventata racconto.
Le ho ascoltate tutte e tre. Una è dedicata alla fotografa Vivien Maier, una a Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato e la terza a un ex calciatore degli anni Settanta, Carlo Petrini.
Confesso di avere iniziato da quest’ultima, perchè quando Alessio mi ha parlato del progetto aggiunse: “Hai una storia da suggerirmi, un libro che hai letto e che racconta la storia di un uomo sconfitto dalla vita?”
Ce l’avevo. Il libro era: “Nel fango del dio pallone”, Kaos Edizioni, uscito nel 2010. L’uomo sconfitto, autore del libro, era Carlo Petrini, discreto attaccante di una decina di squadre di calcio di Serie A e B tra il 1965 e il 1980.
Petrini è morto nel 2012, due anni dopo avere scritto una delle più drammatiche e sincere autobiografie ambientate nel mondo del calcio professionistico italiano.
Se la storia (incredibile) della sconfitta di Vivien Maier forse a qualcuno può suonare in qualche modo conosciuta, vi assicuro che quella dedicata a Edoardo Agnelli è sorprendente.
Racconta la fatica spossante di un quarantaseienne che ha scelto di togliersi la vita non reggendo il peso di un ruolo, quello del figlio dell’uomo più potente dell’Italia e al quale un giorno avrebbe dovuto succedere.
La delicatezza con la quale Alessio Cuffaro, coadiuvato alla regia da un bravissimo Igor Mendolia, entra nel mondo di Edoardo è a tratti commovente.
Raccontare la sconfitta è arte diversa dalla celebrazione della vittoria e degli eroi. Diversa e meno comoda. Ma in fondo la vita è tutto meno che comoda. Almeno la mia non lo è e forse per questo ho amato “Gli sconfitti“.