Romain Gary

VOGLIO LA MAMMA

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Ho scoperto Romain Gary (1914-1980) grazie a un libraio. Mi consigliò “La vita davanti a sè”, e fu una piccola epifania. La Parigi del dopoguerra vista con gli occhi di un bambino, figlio di nessuno e accudito da una prostituta. Uno dei libri più belli nei quali mi sia capitato di perdermi. 

Sono passato così a “La promessa dell’alba”. Altro registro, o quasi. Questa è una biografia, un’autobiografia per la precisione, ma quando la tua vita è un romanzo, ciò che ne viene fuori è, per forza di cose, potente. Romain si racconta, ancora con gli occhi di un bambino alle prese con una mamma stramba, che però guarderà sempre con gli occhi di un bambino. Fino alla fine. Romain aveva una mamma impegnativa, possiamo dirlo. Mamma single, quasi attrice, coltissima, teoricamente aristocratica, sempre sull’orlo del collasso economico, ma determinata come solo una madre che ha grandiosi progetti per un figlio sa essere.

Non pensavo che fuori dai confini patrii potesse esistere un rapporto madre-figlio così simbiotico, puro, faticoso e onesto. “La mamma è sempre la mamma” solo qui, credevo. Ero convinto che la retorica legata alla figura materna fosse tutta racchiusa nello stivale slanciato sul Mediterraneo, tra Luciano Tajoli e la pasta al forno. Invece no, la mamma di Romain è proprio una Mamma: la roccia senza la quale un figlio si perde. Anche da adulto, anzi, soprattutto da adulto.

E Romain, da adulto, ha fatto la guerra indossando la divisa dell’aviazione francese riparata in Inghilterra dopo l’invasione nazifascista. Se è arrivato vivo alla fine, lo deve a quel legame, tangibile e invasivo anche quando non c’è fisicamente.

Leggete “La promessa dell’alba”, perchè Romain ha una scrittura capace di ironia (qui autoironia), di leggerezza e di profondità nello stesso momento. Non smiela mai anche quando lo sta facendo. Un grandissimo scrittore. 

Dio conservi Neri Pozza, casa editrice Fiorentina, che del compianto scrittore lituano pubblica tanto.