Per capire le cose del mondo possiamo fare solo una cosa: leggere. Provando a capire cosa leggiamo (che non è un dettaglio). Per questo voglio segnalarvi l’ultima uscita nella collana Orizzonti Geopolitici di Rosenberg & Sellier: Mal d’Africa di Angelo Ferrari e Raffaele Masto.
Chiunque abbia l’intenzione di capire lo stato dell’arte del Continente Nero, credo non possa fare a meno di misurarsi con questo testo che è a metà strada tra un bellissimo saggio e un bellissimo reportage. Sì, credo proprio sia un bellissimo libro. Anche perchè Ferrari e Masto sono due firme di gran livello. Il primo è responsabile del desk esteri dell’agenzia AGI, il secondo, che purtroppo ci ha lasciati nel maggio del 2020, è stato, per Radio Popolare, uno dei più attenti osservatori sul campo delle “cose africane”.
La forza di Mal d’Africa è, a mio avviso, l’assenza totale di retorica. C’è piuttosto una lettura attenta della realtà, complessa, variegata e ricca di distinguo, che il continente più grande del mondo sta vivendo.
C’è una tesi che sottende al lavoro di Ferrari e Masto: sebbene il Prodotto Interno Lordo africano sia quasi ovunque in crescita (a volte a ritmi da vero boom economico), la percentuale di abitanti che sono costretti a sopravvivere con meno di 2 dollari al giorno è enorme (circa 400 milioni). Possibile? Purtroppo sì. Questo perchè l’Africa continua ad essere, per le economie forti del pianeta, un serbatoio dal quale attingere materie prime (dal petrolio alle terre rare) e non un mercato composto da 1 miliardo e 200 mila persone che possono comprare, risparmiare, investire, produrre.
L’Africa esporta materie prime e importa prodotti finiti, pagando dazio due volte. La trasformazione avviene altrove, il lavoro accade altrove, nessuna ricaduta economica sul territorio. E senza ricadute, nessuna speranza di creare un’ economia di mercato capace di dare vita a una borghesia con potere d’acquisto, una classe dirigente capace e non corrotta, uno sbocco reale di progresso diffuso.
Con modalità profondamente diverse rispetto al passato, il colonialismo è tornato di gran moda (ammesso che sia mai finito per davvero). La Cina, prima di tutto, poi Russia, Turchia e i paesi del Golfo Persico sono i nuovi attori che hanno scelto l’Africa come terra di conquista economica. A loro, ovviamente, si sommano quelli “storici”: Francia, Stati Uniti, Germania, Italia.
L’Africa è un forziere straordinario, in grado di sostenere a bassissimo costo le nostre catene produttive e agroalimentari. Prendiamo il fenomeno del land grabbing: faccio un accordo (farlocco, che dura un’eternità e mi costa pochissimo) con un governo (che corrompo a suon di dollari e Ak47), nel quale si stabilisce che un pezzo di terra (tendenzialmente enorme) diventa di fatto mio e vi coltivo ciò che voglio. Il frutto di quei raccolti, ovviamente, prendono la strada del mio paese. I cinesi, in genere, importano dalla madre patria anche la manodopera, per tenere i costi di tutta l’operazione vicino allo zero.
C’è questo e molto altro in Mal d’Africa: dalle ipocrisie occidentali, alle responsabilità di una classe dirigente africana senza scrupoli.
Soprattutto c’è un occhio attendo alle persone, al miliardo di cittadini africani che subiscono questo meccanismo disumano e, spesso, se possono, tentano la via dell’emigrazione verso quei luoghi che sono all’origine delle cause della loro fuga. E lo fanno sapendo che sarà un viaggio illegale e molto pericoloso, nel quale perdere la vita è una possibilità concreta, da mettere in conto.
Eppure tutto ciò pare non ci interessi.