Anselmo Palini è un docente bresciano che ha all’attivo una serie di pubblicazioni sui temi della pace, della non violenza e dei diritti umani davvero notevole. È stato tra i primi, negli anni Ottanta, a porsi qualche domanda sul senso della presenza della produzione di armi nella provincia di Brescia. La quasi totalità della produzione di armi leggere italiane arriva da quell’area.
Nel 2020 la storica Editrice AVE, fondata nel 1935 dal mitico Luigi Gedda, ha ripubblicato due testi di Palini che, a distanza di una decina d’anni dal loro primo arrivo in libreria, meritavano di tornare all’attenzione del pubblico. Si tratta di due biografie ricche, approfondite, senza sbavature: una dedicata a Oscar Romero, il vescovo martire del Salvador, e l’altra a Hèlder Camara, il “vescovino” brasiliano, tra i massimi alfieri della “Scelta preferenziale per i poveri”, compiuta dalla chiesa latinoamericana nella Conferenza di Medellin, nel 1968.
Il Sud America al centro. Con l’elezione al soglio pontificio di Jose Mario Bergoglio, argentino di Buenos Aires, è diventato chiaro ciò che agli osservatori interessati era evidente da diversi anni: il mondo latinoamericano è il nuovo motore della Chiesa Cattolica. E se Bergoglio è diventato Papa Francesco il “merito” è di uomini come Oscar Romero e Hèlder Camara, che quel motore lo hanno accesso e alimentato.
La biografia che Palini dedica Romero ha un sottotitolo forte “Ho udito il grido del mio popolo” e una postfazione pregiata, che porta la firma del cardinale Gregorio Rosa Chavez, che, quando l’arcivescovo di San Salvador venne assassinato, era rettore del seminario diocesano della capitale centroamericana.
Era il 24 marzo del 1980. Alle ore 18,25 mentre celebrava la messa e appena terminata l’omelia, Mons. Oscar Arnulfo Romero viene raggiunto da un colpo di arma da fuoco in pieno petto. Si accascia sull’altare , muore.
La biografia di Palini è il percorso che porta un uomo di Chiesa, con una formazione teologica tutt’altro che avanzata e nessuna voglia di diventare una celebrità, di fronte alla crudele repressione che la dittatura militare, a scegliere di stare dalla parte dei deboli.
Mons. Romero spiazza tutti, forse anche se stesso, e da “vescovo malleabile” diventa la variabile impazzita che catalizza la speranza di chi non ne aveva più. Una variabile che andava eliminata. Era il 1980, la Guerra Fredda si combatteva anche in America Latina, e lasciava una scia di sangue apparentemente inarrestabile.
“Le sue omelie – scrive Palini – erano seguite dagli inviati della stampa internazionale per il significato che, nel contesto mondiale, aveva la lotta che si combatteva in questa minuscola nazione, e per la presenza di una Chiesa (…) evangelicamente schierata a fianco del proprio popolo e, appunto per questo, violentemente colpita (…) dagli squadroni della morte”.
Maurizio Chierici, un grande inviato che conobbe e intervisto più volte Romero, ha scritto nella prefazione “Un paesino da niente (El Salvador ndr) trasformato nel poligono dove le società benestanti costruivano il prototipo necessario per non perdere il benessere; sperimentavano la paura come arma invisibile dalla quale i popoli non riescono a difendersi.” Poi è arrivato Romero, lo hanno ucciso, ma non è bastato. La sua voce non solo non è stata messa a tacere, ma è diventata un grido di giustizia per un continente intero.
E tra coloro che hanno saputo far nascere una nuova speranza dalla morte di Romero c’è sicuramente Hèlder Pessoa Camara, uno dei vescovi brasiliani più amati e coraggiosi della storsia recente. Classe 1909, morto all’età di novant’anni, dal 2017 è, grazie a una legge dello Stato, Patrono brasiliano dei Diritti Umani.
Anselmo Palini, per la biografia di dom Helder, come sottotitolo ha scelto una celebre frase del vescovo nordestino, quasi un manifesto : “Il clamore dei poveri è la luce di Dio”, e nella prefazione, affidata a mons. Luigi Bettazzi, che lo conobbe al Concilio Vaticano II, si legge: “Tempo fa non sarebbe stato necessario introdurre un libro su Hèlder Camera (…). Oggi, a oltre vent’anni dalla morte, il suo ricordo tende a offuscarsi.”
L’autore ricostruisce con cura tutti i passaggi che hanno segnato la crescita religiosa di Hèlder Camera. Il capitolo iniziale si intitola “Gli anni dell’integralismo”, ed è subito un’immersione nelle lettere e negli scritti lasciati dal vescovo brasiliano che ripercorre il suo cammino.
C’è un passaggio a pag.32 che merita di essere riportato: “Avevo ventidue anni, sognavo anche allora di cambiare il mondo e lo vedevo diviso tra destra e sinistra, cioè tra fascismo e comunismo. (…) Scelsi il fascismo. Si chiama Azione integralista, in Brasile. (…) E il loro motto era Dio-Patria-Famiglia: un moto che a me andava benissimo. Come giudico ciò? Con il mio semplicismo giovanile (…) non c’erano molti libri da leggere, nè molti uomini sani da ascoltare.”
Solo un uomo davvero adulto può osservare con tanta franchezza al proprio passato. Seguono altri due capitoli corposi: “Gli anni del cambiamento” e “Gli anni della profezia”.
Come successo per Romero, quando la realtà bussa alla porta non è facile fingere di non aver sentito. Il Brasile degli anni delle dittature militari, della povertà diffusa, del razzismo, della devastante ingiustizia sociale, iniziava a far sentir la sua voce disperata. Il giovane sacerdote brasiliano cresce e cresce anche una nuova consapevolezza. Negli Anni Cinquanta arriva a Rio de Janeiro come vescovo Ausiliario, poi il Concilio e la Conferenza di Medellin. Nel mezzo, centinaia di prese di posizioni sempre più nette contro la violenza e la prepotenza del potere, e poi decine e decine di gruppi di base, sindacati, cooperative che vengono fondate per organizzare il tessuto sociale, sempre partendo dal basso, dagli ultimi.
Dom Helder ha doti da mistico (“Tutte le notti si svegliava per un’ora di preghiere e di orientamento della giornata”, ricorda mons. Bettazzi), di teologo e di vero oppositore politico (cosa che alla dittatura non piace per nulla). “La fede, basata sulla Parola di Dio, toglie la maschera alle ideologie dei dominatori. Gesù assume l’identità degli oppressi e vuole essere amato e servito in loro”.
Il grande merito di Anselmo Paolini è di poterci permettere di ripercorrere le storie di Oscar Romero e Hèlder Camera con la consapevolezza che se anche un po’ della loro memoria si è offuscata, i frutti della loto testimonianza ci sono ancora tutti e sono arrivati sino al Soglio di Pietro.
Ah Sudamerica, direbbe Paolo Conte.